Venerdì 24 marzo ore 18,30
C’Entro Via Gen. Messina 71 Taranto
ASSEMBLEA SUL DECRETO IMMIGRAZIONE
INVITO ALLA PARTECIPAZIONE
A differenza del “Decreto Sicurezza” di Salvini, il recente decreto-legge del Governo sull’immigrazione è davvero molto breve, un decreto piccolo piccolo.
Appare più un’operazione propagandistica – peraltro condita dal solito atteggiamento di vigliacco accanimento contro i soggetti più fragili – che un intervento di reale svolta nelle politiche sull’immigrazione nel nostro Paese.
Nell’ordine alcuni punti salienti:
- I provvedimenti previsti riguardo gli ingressi per lavoro fondamentalmente operano una semplificazione nelle procedure burocratiche di controllo dei requisiti dei datori di lavoro e dei lavoratori e la programmazione triennale delle quote.
L’articolo 3, invece, consente l’ingresso al di fuori delle quote per lavoratori che abbiano svolto corsi di “formazione professionale e civico-linguistica” nel Paese di origine, organizzati secondo i fabbisogni manifestati dalle organizzazioni datoriali al Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali. Il decreto non chiarisce quali risorse saranno destinate alla realizzazione dei corsi. Al termine del corso, il lavoratore straniero potrà fare domanda per il visto di ingresso, corredata dalla conferma di disponibilità ad assumere da parte del datore di lavoro. Sorvolando sull’impostazione ideologica che vede le persone come merci o parti di filiere produttive, resta in piedi l’impianto criminogeno che ha consentito, dall’approvazione della Bossi-Fini, passando indenne per tutti i governi di qualsiasi colore che si sono succeduti dal 1998 ad oggi, a finte aziende di farsi pagare profumatamente per offrire la disponibilità ad assumere a persone mai viste e mai passate per un colloquio selettivo. Di fatto si sostituiscono i trafficanti stranieri con i trafficanti italiani, meccanismo noto al quale non si vuole mettere fine. Eppure basterebbe un minimo di buon senso per comprendere che nessun imprenditore assumerebbe una persona che abita a quattromila chilometri di distanza senza aver prima svolto un colloquio o una selezione.
Il decreto, ovviamente, nulla prevede in favore dei lavoratori stranieri già presenti sul territorio costretti al lavoro nero poiché impossibilitati a regolarizzare la propria posizione.
- L’aspetto propagandistico consiste nell’inasprimento delle pene verso i cosiddetti “scafisti”. È ormai noto e giudiziariamente acclarato che la maggior parte delle persone che vengono arrestate perché individuate come i conduttori delle imbarcazioni, sono in realtà quei soggetti che non sono stati in grado di pagare per il passaggio e ai quali viene messo in mano il timone e indicata una direzione da seguire. In ogni caso gli scafisti sono il risultato di una domanda di migrazione, non la causa. I trafficanti continuano a restare al sicuro e le persone costrette alla fuga restano obbligate ad affidarsi ai traffici illegali. Basti pensare alle famiglie afgane impossibilitate a chiedere un visto di ingresso in Italia, in quanto l’ambasciata italiana in Iraq (stando a quanto ci riferiscono profughi afgani) è blindata e non vi si accede se non dietro il pagamento di 5.000 euro a intermediari.
- L’articolo che presenta gli aspetti persecutori è l’art. 7 riguardante la protezione speciale, ovvero il permesso di soggiorno previsto dal Decreto Lamorgese, che reintroduceva una protezione assimilabile alla protezione umanitaria già abolita dal Decreto Salvini. In questo modo vengono eliminati gli elementi che consentivano a persone presenti sul territorio da svariati anni, che hanno sul territorio italiano legami e reti affettive e familiari e/o non hanno più alcun legame o reti nel Paese di origine, di vedersi riconosciuto un permesso di soggiorno che consenta di regolarizzare la propria posizione. Una condanna ignobile alla marginalità e alla disperazione.
Ancora una volta ci troviamo dinanzi all’utilizzo totalmente illegittimo della decretazione d’urgenza da parte del Governo, con l’aggravante che in tale ultimo caso si è voluta strumentalizzare una tragedia, quale quella consumatasi sulle coste calabresi, come requisito che giustificasse la necessità ed urgenza richieste. È facile comprendere che tali previsioni, in effetti, neanche lontanamente pongono rimedio e/o correttivi a quanto accaduto, ma finiscono ancora una volta per demonizzare il fenomeno migratorio.
L’ennesima tragedia del 26 febbraio impone un ripensamento radicale della Bossi-Fini. Non sono più sufficienti da parte della politica generici appelli al rispetto dei diritti umani e delle norme internazionali a cui aderisce lo Stato italiano; è imperativo riconoscere il diritto delle persone non solo a fuggire da guerre e persecuzioni, bensì deve essere riconosciuta la possibilità di viaggiare in sicurezza, introducendo il permesso di soggiorno per ricerca lavoro, unico strumento in grado di combattere realmente i trafficanti e fermare le stragi, in mare e sulla rotta balcanica.